Omelia del Cardinale Sandri nella Cattedrale greco-cattolica di Kyiv

Omelia del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella Divina Liturgia per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli – Kiev, cattedrale arcivescovile Maggiore della Resurrezione, mercoledì 12 luglio 2017 A.D.

Beatitudine Sviatoslav,
Eccellentissimo Nunzio Apostolico Claudio Gugerotti,
Eccellenze,
Distinte Autorità,
Reverendi Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Seminaristi,
Sorelle e fratelli nel Signore!

  1. Ringrazio il Signore che ci ha radunati qui oggi, per celebrare la Divina Liturgia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (secondo il calendario giuliano), in questa cattedrale della Resurrezione. I misteri della liturgia, celebrati con tanta intensità nella tradizione bizantina, ci donano l’esperienza- come dicono i Padri – del “cielo sulla terra”: ancor più quando nella terra del nostro pellegrinaggio sperimentiamo la stanchezza, la fatica e le sofferenze, per la nostra fragilità personale ma anche per le condizioni avverse della vita famigliare o di un intero Paese, come la dolente Ucraina in questi anni, ancor più ci rallegriamo del dono della presenza del Signore, per il Quale il nostro cuore palpita colmo di desiderio di benedizione, di riconciliazione e di pace. Ero al fianco del grande San Giovanni Paolo II, accompagnandoLo nella storica visita del giugno 2001, e vado col pensiero alle sue parole, quando ricordava la tradizione secondo la quale l’apostolo Andrea, visitando i luoghi ove sarebbe sorta questa città, la benedisse affermando “Su questi monti brillerà la gloria di Dio”, profetizzando che il Dnepr sarebbe stato il nuovo Giordano per le acque del battesimo del principe Volodymyr e Kyiv una nuova Gerusalemme come madre del cristianesimo slavo nell’Europa dell’Est. Le parole del Santo Pontefice ci fanno correre con il cuore e la mente a Papa Francesco, il quale poco prima della mia partenza mi ha personalmente esortato a portarvi la sua vicinanza, il suo abbraccio, la sua preghiera, insieme alla Benedizione che in Suo nome vi impartirò al termine di questo sacro rito. Egli vi rassicura che non siete soli, che avete un posto speciale nel suo cuore, e vi ringrazia anche per la preghiera che avete offerto secondo le sue intenzioni durante il grande pellegrinaggio da poco compiuto nella Basilica di san Pietro per celebrare i centocinquanta anni dalla canonizzazione di san Giosafat: martire per amore di Dio, martire per l’unità della Chiesa, che vogliamo seguire non arrendendoci dinanzi ad ogni difficoltà o potere umano che ci vuole togliere la speranza, quella di una vita giusta e onesta, con la collaborazione e la conversione di tutti, quella di una patria rispettata nella sua integrità e riconciliata al suo interno nelle sue diverse anime e componenti.

 

  1. Lasciamo che la Parola di Dio appena proclamata sia nutrimento per la nostra vita. La vicenda di san Paolo ci è stata riproposta in tutta la sua drammaticità, attraverso un lungo elenco di prove cui è stato sottoposto a motivo della sua appartenenza a Cristo. C’è un primo livello di sofferenza, potremmo dire, che egli sperimenta dal di fuori: sono coloro che lo perseguitano, i suoi accusatori, coloro che lo hanno messo in carcere, i diversi poteri politici e militari che lo hanno condannato perfino a supplizi corporali. Sono dolori grandi, che si sono succeduti nella sua vita, ma ai quali ha potuto resistere. C’è però una forma di dolore più sottile, che penetra nel profondo dello spirito umano, e si tratta dell’esperienza del sentirsi tradito: egli, ebreo di nascita, fariseo per formazione, dopo aver rivolto la sua predicazione anzitutto ai figli del popolo eletto, di fronte al loro cuore indurito si volge ai Gentili, ma gli rimane nel cuore la nostalgia che anche Israele possa accogliere la pienezza della salvezza in Cristo: “vorrei essere io stesso anatema”, dice infatti nella lettera ai Romani. Ma Paolo è tradito anche dai vicini, dai fratelli: pensiamo a quando racconta di uno dei processi e afferma “solo Luca è con me”, perchè altri lo hanno lasciato e sono stati disonesti con lui, forse perchè delusi dalla sua predicazione o qualcuno magari per trarre vantaggio dal suo male arricchendosi. Anche in queste dinamiche l’Apostolo riproduce in sè i tratti dell’esperienza di Gesù: la debolezza di Paolo è in fondo partecipazione alla passione del Signore e Maestro, per questo in una particolare rivelazione il Signore gli confida “Ti basta la mia grazia, la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Nella festa dell’apostolo delle Genti vogliamo mettere a confronto la nostra vita, personale, famigliare e come Chiesa, con quanto l’esperienza di Paolo ci ha suggerito. Tra poco, nel grande ingresso della liturgia, saranno portati oltre le porte sante il pane e il vino per il sacrificio eucaristico: è Cristo che ha donato la vita sulla croce ed è stato Risuscitato dal Padre. Non possiamo permetterci di lasciare che il gesto liturgico sia lontano dalla nostra vita. Quel pane ancor più oggi vuole essere impastato dei nostri dolori, quelli che abbiamo subito e che subiamo, come Paolo, da fuori, da coloro che nel passato o nel presente possono aver usato violenza, persecuzione, carcere, e da dentro, da coloro che dovrebbero essere fratelli per l’appartenenza ad un popolo e ad una fede, che dovrebbero servire il bene comune con trasparenza e onestà, senza corruzione o arricchimento personale, che potrebbero servire l’unità e la riconciliazione e non la separazione e la violenza. Portiamo però insieme anche il bisogno e il desiderio di restare umili, come Paolo, che si vanta di aver partecipato alle sofferenze di Cristo, e non per i suoi successi o vittorie: quando invece cadiamo nella superbia e possiamo metterci su un piedistallo sopra gli altri, non accorgendoci anche del male che siamo comunque capaci di compiere, smettiamo anche noi di essere autentici discepoli di Cristo. Chiediamo che lo Spirito di Resurrezione vivifichi non solo le offerte del Sacrificio Eucaristico, ma attraverso di esse le nostre stesse vite.

 

  1. Vogliamo ripetere anche noi, quest’oggi, insieme ai nostri Vescovi e sacerdoti, la nostra professione di fede in Gesù, Via, Verità e Vita, con la parole dell’Apostolo Pietro ascoltate nel Vangelo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, lasciando che anche in noi, in virtù del nostro Battesimo, continui a parlare la voce del Padre, e non la carne e il sangue che da sole non sono in grado di riconoscere la presenza di Dio in Gesù. Pensiamo all’apostolo Pietro, pieno di entusiasmo e tenace, ma anche fragile e peccatore. Lo ricordiamo in una pagina degli Atti degli Apostoli, quando sale al tempio insieme all’apostolo Giovanni e incontrano uno storpio, al quale dicono “quello che ho te lo dono, nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina”. E lo storpio fu guarito e iniziò a camminare. E poco più avanti, si dice che molti ammalati volevano almeno essere coperti dall’ombra dell’apostolo, per essere guariti. Ora, l’ombra si forma quando la luce si posa su di noi e così essa proietta il nostro profilo sulla strada dove camminiamo. È la voce dell’apostolo che oggi onoriamoci che ci conferma che Gesù è la Luce del mondo, perché Lui solo ha parole di vita eterna, e tuttavia dobbiamo anche riconoscere che la presenza di Pietro, proprio in nome di Gesù, continua come il Maestro a chinarsi sulle ferite e le piaghe dell’umanità perché siano risanati. In questa solennità, insieme a Pietro, come credenti chiediamo la grazia di abbandonare ogni falsa luce e di continuare a seguire Gesù, Luce vera, che inondi il nostro cuore risanando ogni egoismo, ogni orgoglio, ogni odio che chiede vendetta. E vogliamo ringraziare il Padre per quell’ombra di carità che il Successore dell’apostolo Pietro, Papa Francesco, ha posato sull’Ucraina e il suo popolo sofferente a causa delle guerra e delle privazioni che ne sono seguite. La mano tesa con cui egli ha voluto farsi vicino alle vostre necessità, l’appello alla coscienza dei grandi della terra per fermare le ostilità, la richiesta di solidarietà fatta alle Chiese di Europa lo scorso anno per la colletta per l’Ucraina invitano anche ciascuno di noi, come lo storpio quel giorno al tempio di Gerusalemme ad alzarci per continuare a camminare lungo la storia. Il popolo ucraino lo ha già sperimentato nel passato e a questa consapevolezza dobbiamo continuare a riattingere: anche quando le nubi delle ostilità sembravano spesse e impenetrabili, alla fine la luce è riuscita a filtrare e a diradarle, e ne è prova il fatto che ancora oggi siamo qui a celebrare le lodi del Signore e la sua misericordia. Impegniamoci anche noi, nel nostro piccolo, a tenere accesa la fiaccola della fede e della carità fraterna.

 

  1. La Vergine Maria, che tra pochi giorni venereremo durante il pellegrinaggio annuale al santuario di Zarvanytsia, ci sostenga sempre con la sua potente intercessione: a ripetere il nostro Si, al suo Figlio, Crocifisso e Risorto, a non lasciarci rubare la speranza, ad essere testimoni coraggiosi del Signore, in spirito di vera comunione con tanti nostri fratelli, perché il mondo creda. Affidiamo in particolare alla preghiera della Madre di Dio il vostro Capo e Padre, Sviatoslav, al quale rinnovo il mio saluto fraterno, e insieme preghiamo per l’anima di colui che lo ha preceduto, il caro Cardinale Husar, che affidiamo alla misericordia del Pastore Supremo, Cristo Signore, che egli ha seguito e servito in terra guidando la Chiesa greco-cattolica ucraina. Amen.
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