Omelia del Nunzio Apostolico alla celebrazione conclusiva del Congresso delle Famiglie d’Ucraina

Vinnytsia, 22 settembre 19

Perché il Rappresentante del Papa in Ucraina ha accettato con tanto piacere e riconoscenza di essere qui a pregare per voi e con voi, in questo momento così importante non solo per la Chiesa, ma per l’intera società dell’Ucraina?

Sono venuto anzitutto a ringraziare e supplicare Dio con voi per il dono meraviglioso della famiglia e a portarvi l’abbraccio paterno, pieno di fiducia e di riconoscenza di Papa Francesco. La benedizione apostolica, che impartirò al termine di questa celebrazione, è il segno dell’affetto tutto speciale che il Papa riserva a voi. A voi, famiglie in particolare egli ha voluto scrivere una lettera piena di rispetto e di calore, a nome di tutti i vescovi cattolici che si sono radunati in ben due sinodi, aventi come soggetto di riflessione proprio la famiglia: mi riferisco all’Esortazione apostolica postsinodale “Amoris Laetitia”, “La Gioia dell’Amore”, su cui tornerò spesso in questa omelia e che vi raccomando di leggere, perché è un inno all’amore familiare, così entusiasta, concreto e realistico, che può servirvi da guida e ispirazione per la vostra vita quotidiana e la vostra testimonianza insostituibile nella Chiesa.

Sono venuto a pregare di fronte all’icona dell’amore che siete voi, care famiglie. Io sono stato chiamato, come i confratelli vescovi ed i sacerdoti, almeno quelli di rito latino, i religiosi e le religiose, al celibato come dedizione totale e anticipazione, per noi e per tutti, del Regno dei Cieli. 

Io non ho un segno, una testimonianza più alta dell’amore se non la contemplazione del vostro amore di coppia, aperta ai vostri cari figli, ai nonni e a tutti coloro che costituiscono la famiglia.

Se si parla di amore, il pensiero corre a voi. Se si cerca l’immagine dell’amore di Dio per l’umanità, una realtà comunque così grande e misteriosa che non si esaurisce mai in alcuna immagine, noi dobbiamo attingere alla vita della famiglia. Ecco alcuni esempi: dalla paternità di Dio, a Cristo, nostro fratello, al nostro essere figli di Dio e fratelli tra di noi, all’abbraccio del Crocifisso sulla croce, alla maternità di Maria, alla responsabilità di Giuseppe, al bacio dell’amicizia; sempre noi attingiamo alle immagini proprie della vita familiare.

Come riceviamo l’Eucarestia, quale segno del dono di Dio al suo popolo, così veneriamo voi, famiglie, portatrici viventi della più grande metafora, del sacramento dell’amore, non solo cristiano, ma universale.

Ci rivolgiamo a voi, perché siete quanto di più sacro abbia l’umanità, anche quando si dimentica di averlo, o lo sfregia, negandolo o ferendolo.

I vescovi che si sono riuniti nei due sinodi recenti sulla famiglia non rappresentano una sola cultura, né una sola comprensione del valore sociale della famiglia: i vari continenti in cui si riunisce la santa Chiesa di Dio hanno sensibilità diverse su come vivere ogni giorno usi e tradizioni riguardanti la famiglia. Ecco perché il Papa ci ricorda: “A partire dalle riflessioni sinodali, non rimane uno stereotipo della famiglia ideale, bensì un interpellante mosaico, formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni” (AL 57). Però il riferimento, la fonte, la forza, l’ispirazione, il compimento finale sono sempre e solo il Padre, che ha stabilito: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18) e Gesù Cristo, Figlio di Dio, che ha dato la sua vita per noi, per vincere la costante tentazione di distruggerci e per rinnovare sempre nuove radici di vita fino a quando saremo raccolti nel suo Regno per sempre e il nostro amore sarà purificato nella visione e nel contatto con quel Dio, che ha voluto essere chiamato Amore.

Certamente in questi giorni avete avuto modo di meditare e pregare tra voi e con i vostri pastori sulle realtà costitutive della famiglia cristiana. Questo non è avvenuto solo per ricordarci quanto siamo lontani dalla famiglia ideale, quanti strazi, drammi, dolori e peccati sfigurano il volto delle nostre famiglie; quanto le piaghe della debolezza, nelle nostre terre in particolare dell’alcoolismo, possono rendere drammatica la vita della famiglia, cancellando il rispetto di se stessi, della propria dignità, e quindi della dignità di coloro che ci sono posti accanto e di cui dovremmo prenderci cura, della vita umana soppressa prima della nascita, durante la vita e al termine di essa. Quando si tenta di cancellare la famiglia stessa, come più volte nella storia dell’umanità, si finisce col distruggere la società, che è famiglia di famiglie; pensiamo a una dramma della nostra terra: quando vendiamo i figli per danaro, affittando l’utero che è la cosa più sacra, il segno della dignità della donna, il laboratorio di vita che Dio le ha affidato non come fabbrica di organi, ma come luogo dove l’Artista tesse, uno ad uno, quei bimbi che sono frutto dell’amore, che devono sentirsi voluti e amati anche nelle difficoltà, che sono la tenerezza dei nostri giorni e la speranza del nostro futuro.

Vorrei qui richiamare, in positivo e brevemente, alcuni aspetti che mi paiono particolarmente importanti per la sensibilità familiare di questo bello e grande Paese che è l’Ucraina.

Anzitutto è fondamentale l’apertura reciproca, la trasparenza. Decenni di sospetto, di violenza nascosta, di pericolo possibile ovunque, di spionaggio infiltrato persino in famiglia, ci hanno resi molto sospettosi e chiusi nei confronti dell’altro e alla fiducia reciproca. Ce lo ricorda il Papa quando scrive: “Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo giudicano senza compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà mantenere i suoi segreti, nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello che non è” (AL 115). Ma ad aprirsi, ad esprimere amore, anche nei gesti, senza paura, si impara in famiglia. Se vogliamo una società di persone libere, dobbiamo fare libera la scuola della società che è la famiglia, mostrando che possiamo fidarci l’uno dell’altro perché siamo insieme solo per la forza dell’amore.

Punto di partenza per guarire le nostre paure, per evitare l’illusione di superarle ingerendo sostanze che ci facciano dimenticare chi siamo, come l’alcool, la droga o le sostanze psicotrope in eccesso, dobbiamo puntare sulla forza, spesso difficile, del perdono, “un perdono – ci dice il Papa – fondato su un atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a cercare delle scuse per l’altra persona” (AL 105). Il modo migliore per creare una società di liberi nella dignità è quello di cambiare il modello dal rapporto fra pochi padroni e molti schiavi, imposto per secoli a questa terra, in quello della percezione della dignità di ciascuno, assolutamente pari, del diritto alla partecipazione, alla libera iniziativa, protetta e difesa dalla comunità umana. E questo si impara in famiglia, dove non ci sono padroni né schiavi, non ci possono e non ci debbono essere, ma persone che si amano, si cercano, si sostengono, si proteggono, si stimolano a vicenda. Questo è il modello che troviamo nella Trinità Santissima e il senso della redenzione, dove Dio si è fatto uomo per ridarci la dignità di figli di Dio. E ogni giorno con la sua grazia, nei sacramenti, nella meditazione della sua Parola, nella scuola della carità egli crea il grembo capace di generare una nuova vita libera e creativa.

Un secondo aspetto nel quale la famiglia ha una bella funzione formativa e terapeutica riguarda un altro problema diffuso tra la nostra gente, legato in parte al precedente: la mancanza di autostima. Esso deriva da molte cause sociali cui abbiamo accennato e che hanno avuto un influsso pesante sulla vita delle nostre famiglie; ma tra esse fondamentale è la percezione che molti bambini hanno avuto ed hanno di non essere stati desiderati, di essere frutto di uno sbaglio di calcoli, o dell’ebbrezza alcoolica. Ci ricorda il Papa: “La madre, che protegge il bambino con la sua tenerezza e la sua compassione, lo aiuta a far emergere la fiducia, a sperimentare che il mondo è un luogo buono che lo accoglie, e questo permette di sviluppare un’autostima che favorisce la capacità di intimità e l’empatia” (AL 175). E’ un sacrosanto impegno spirituale che le nostre famiglie sentano e vivano il valore infinito della dignità personale e la bellezza dell’avere figli e di far loro sentire quanto sono desiderati e attesi, al di sopra di tutto. Qui si sana la società. Qui si creano persone equilibrate e serene. E questo cambia il modo di pensare e di credere, la politica, l’economia, il senso stesso dell’essere società.

Sentirsi accettati così come si è, vuol dire esattamente riprodurre nella famiglia il rapporto che Dio ha con ciascuno di noi. Come dice Papa Francesco: “C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali” (AL 139), cioè tutti che si presentano nel modo “standard” che piace agli altri. Dovremmo abolire l’uso della risposta “normalno”, quando qualcuno ci chiede come stiamo e noi non vogliamo rispondere e ci rimettiamo alla “norma”, per dire: “sto come tutti, quindi sono normale”; dobbiamo invece imparare a descrivere le sfumature e i colori di come ci sentiamo qui e ora. Che gli altri si sentano diversamente, è loro diritto. Il nostro ripetere lo stesso modello che non cambia non è il loro diritto e tantomeno il nostro dovere.

E infine abbiamo bisogno dell’“esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci fanno perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali” (AL 107). Di qui nascono violenze, incomprensioni, insicurezze croniche.

Apertura all’altro ed autostima sono le condizioni per una sana vita familiare e per evitare un fenomeno molto ricorrente, che il Papa così definisce: “purtroppo molti arrivano alle nozze senza conoscersi” (AL 210). Aggiungerei che continuano spesso a non conoscersi anche dopo le nozze. E così non conoscono neanche la ragione per cui si lasciano e feriscono, a volte mortalmente, la famiglia.

La comunità cristiana, per incoraggiare e sostenere un cammino di crescita matura della famiglia, deve sviluppare il gusto della diversità e il coraggio dell’onestà e dell’accoglienza. Niente doppie facce, ma verità intera, certo detta nella carità. Niente il cosiddetto “letto di Procuste” della mitologia greca, dove ognuno doveva sdraiarsi su un giaciglio: se era più lungo, le parti in eccesso venivano tagliate; se era più corto, veniva tirato fino a prendere la misura del letto. 

La Chiesa non è e non deve essere così. La Chiesa non è prima di tutto regole. Ci dice il Papa: “La Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di far sentire le persone giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio” (AL 49).

Dio ci ha creati perché ci ama. E’ piaciuto a lui crearci, ed è desiderio di noi creature essere felici come Egli lo è creando. La famiglia è chiamata a diventare la scuola della felicità. Ricordiamoci che la nostra tendenza a volere tutto e subito, soffocando il piacere, uccide la gradualità e ci getta nella disperazione. La famiglia è un modello di vita buona e bella e non prima di tutto una scuola di rinuncia a ciò che ci piace. Come dice il Papa: “Non si può sempre soltanto donare, si deve anche ricevere” (AL 157).

Care famiglie, se ve ne andrete da qui innamorate dell’amore che Dio ha per voi e di quello che voi sapete dare l’uno all’altro, e tutti alla società, allora questo incontro sarà davvero un annuncio della “Buona Notizia”. Sapremo allora che la famiglia è un dono bello, prima che essere un dovere faticoso. E che il dovere si vive per raggiungere il premio, la gioia, non per il gusto di negare i desideri.

Sono convinto che allora non ci sarà più bisogno di gridare che la famiglia è la base della società. Vedendo le famiglie cristiane lo si capirà da soli, pur con tutti i nostri limiti. Allora si capirà che un mondo senza famiglie, se pur continuasse ad esistere, sarebbe un mondo senza gioia.

Permettetemi di concludere con le parole del documento di Papa Francesco: “Con la testimonianza, e anche con la parola, le famiglie parlano di Gesù agli altri, trasmettono la fede, risvegliano il desiderio di Dio, e mostrano la bellezza del Vangelo e dello stile di vita che ci propone. Così i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva” (AL 184).

Papà e mamme, bambini e giovani, anziani e persone sole: grazie per l’essere famiglia, con fatica, ma con entusiasmo e nel perdono. Anche se avrete potuto dare o ricevere molto meno di quello che avreste desiderato, voi ci mostrate comunque un tratto del volto di Dio. Crescere nell’amore sarà allora la vostra passione, lo sforzo dell’atleta per rendere forte il proprio corpo e ottenere il premio, il luogo per nascere, crescere e morire bene; l’anticamera del Paradiso, a volte ricca a volte povera, ma sempre abitata da Dio.

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