Omelia del Cardinale Sandri nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv

Omelia del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella Divina Liturgia della Festa dei Dodici apostoli, Cattedrale dell’Esarcato di Kharkiv, mercoledì 13 luglio 2017 A.D.

 

Beatitudine Sviatoslav,
Eccellenza Mons. Claudio Gugerotti, Nunzio Apostolico a Kyiv,
Eccellenza Mons. Vasyl, Esarca Arcivescovile a Kharkiv,
Eccellenze,
Distinte Autorità,
Reverendi Sacerdoti, Religiosi e Religiose,
Sorelle e fratelli nel Signore!

 

  1. Dopo la grande festa dei Santi Pietro e Paolo, che ho avuto la gioia di celebrare ieri a Kyiv, nella cattedrale dell’Arcivescovo Maggiore dedicata alla Resurrezione, sono contento di poter essere in mezzo a voi quest’oggi, per vivere la Divina Liturgia nella festa dei santi e gloriosi dodici apostoli, degni di ogni lode, come recita l’Antologhion. Nella preghiera del vespero bizantino, troviamo oggi questa toccante espressione: “La canna dei pescatori ha confuso la boria dei filosofi e i fiumi di parole dei retori, coniando gli insegnamenti e i dogmi della scienza di Dio e chiaramente esponendo la buona novella di miriadi di beni, la partecipazione alle eterne delizie, i gaudii degli angeli e la gloria che non passa”. Siamo riuniti dallo Spirito Consolatore non solo a contemplare, ma a diventare sempre più consapevoli che in virtù del nostro Battesimo questa “gloria che non passa” è stata effusa anche nei nostri cuori. Noi che seguendo l’esortazione di san Paolo vogliamo essere imitatori degli apostoli, che ci hanno consegnato l’annuncio del vangelo mediante il dono della loro stessa vita. Ed è lo stesso Evangelo che ancora prima di riferirci i nomi di coloro che Gesù ha scelto, ci indica chiaramente il compito che Egli ha affidato anzitutto a loro: “perché stessero con lui..e per mandarli a predicare”. Se non si sta con il Signore, se non si prende dimora presso di Lui, ogni apostolo, ogni battezzato reca al mondo soltanto la propria parola, che non ha in sé nessuna forza e soprattutto non può salvare. Il nostro cuore invece come quello di ogni uomo, anela ad abbeverarsi alla sorgente che zampilla dal cuore di Cristo: essa è acqua che purifica, irriga e ristora. Sappiamo bene però, e gli apostoli Giovanni e Tommaso in particolare ce lo confermano, che da quella ferita sul fianco di Gesù aperta sul Golgota insieme all’acqua fu versato anche il sangue. Il prezzo della pace e della riconciliazione sono stati pagati una volta per tutti dal Signore, anche se nella storia, tra i suoi discepoli, continuano a ripresentarsi la vicenda dell’umanità dimentica di Dio prima del diluvio o, ancora prima, il mistero del dolore di Abele e della invidia fratricida di Caino.

 

  1. Tutto ciò ci scandalizza, e scandalizza il mondo che anziché vedere “le opere buone dei cristiani, per rendere grazie al Padre che è nei cieli” – come dice Gesù – vede le divisioni, le lotte e le sofferenze che si infliggono coloro che lo stesso Battesimo ha consacrato. Quando si mette mano alle armi, nessuno può dire: “lo faccio in nome del mio Dio” e tantomeno in nome del Vangelo, perché la storia umana è disseminata di questi conflitti che i libri chiamano religiosi ma che ad uno studio più attento rivelano di essere stati posti in essere da altri interessi, di natura economica, politica o di espansione imperialista. Sul piano umano e cristiano, l’amore per la verità che gli apostoli ci hanno affidato ci impedisce di accettare il silenzio calato sul conflitto in Ucraina, sulle sofferenze che ha arrecato a decine di migliaia di persone. Non possiamo far finta di non vedere le vedove e gli orfani, i bambini che hanno difficile accesso alla prosecuzione degli studi, e sono cresciuti udendo il tempo intervallato dai colpi di mortaio più che dai rintocchi delle campane, gli anziani che sopravvivono a stento, i giovani che sono chiamati alle armi: sul campo poi non muoiono i potenti di turno, ma coloro che sono la promessa e il futuro di una nazione. Non vogliamo rassegnarci allo stallo della comunità internazionale, alla sfiducia nel rispetto degli accordi a suo tempo stipulati ma spesso sistematicamente violati. Vogliamo la pace e vogliamo essere trovati pronti a percorrere il cammino della riconciliazione, che in quanto tale va percorso insieme e non da soli. Ci esorta a farlo con la sua parola e i suoi gesti di carità Papa Francesco, che mi ha incaricato di portarvi il suo affetto, la sua vicinanza e la sua Benedizione. Per testimoniarvi il Suo amore sono qui in mezzo a voi. Parlando ai vescovi ucraini, orientali e latini, nel febbraio del 2015, egli affidava loro un compito: “Il senso di giustizia e di verità, prima che politico, è morale, e tale incombenza è affidata anche alla vostra responsabilità di Pastori. Quanto più sarete liberi ministri della Chiesa di Cristo, tanto più, pur nella vostra povertà, vi farete difensori delle famiglie, dei poveri, dei disoccupati, dei deboli, dei malati, degli anziani pensionati, degli invalidi, degli sfollati”. Preghiamo insieme i santi apostoli, perché con la loro intercessione veglino sui vostri Pastori: siano secondo la beatitudine evangelica chiamati figli di Dio, perché operatori di pace. E vogliamo ringraziarli, a cominciare da Sua Beatitudine, per tutta l’opera pastorale, con particolare attenzione al rinnovato annuncio ed una vibrante testimonianza del Signore Risorto, rivolto al mondo dei giovani e delle vocazioni, al servizio per i tanti sofferenti del corpo e dello spirito, senza dimenticare la dimensione fondamentale della cultura, per la quale esprimo l’apprezzamento e il sostegno per l’Università Cattolica di Leopoli. Continuate ad essere pastori che il popolo di Dio sente vicino.

 

  1. Non è soltanto l’affetto di Papa Francesco o delle Chiese di Europa da lui invitate a esprimere attraverso la colletta della primavera del 2016 la loro solidarietà per tutto il popolo ucraino, ma è la stessa parola di Dio proclamata a farci sentire l’amore di Dio anche in questa pagina dolorosa della storia di questo Paese. È la grazia che dobbiamo chiedere, perché le sole forze umane non basterebbero, quella di vincere il male con il bene. Il male che vogliamo continuare a riconoscere anzitutto nel nostro cuore, in certi sogni o visioni della vita, quando essi affermano la propria prospettiva sul mondo e sulle cose e non quella che nasce dall’incontro col vangelo di Gesù. È la grazia di saper affrontare l’esperienza del male che ci insidia dall’esterno, come ci ha detto san Paolo: “fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo”. Se talora siamo come gli apostoli che camminano dietro al Signore, ma mentre Lui annunzia la passione a Gerusalemme sono divisi a discutere chi di loro sia il più grande, o ciascuno di essi è tentato di far prevalere il suo passato di pescatore, di zelota, di esattore delle tasse, di fariseo osservante, anziché la nuova chiamata che il Signore ci ha rivolto, torniamo insieme a guardare a Lui, torniamo ad ascoltare la sua parola, rendiamo i nostri piedi come quelli del messaggero descritto dal profeta Isaia, colui che sale sui monti per annunciare la pace di Dio. La croce che benediciamo e che verrà collocata sulla cupola della cattedrale, insieme con la cripta che abbiamo consacrato, ci ricordino ogni giorno che l’intera nostra esistenza, personale, familiare, comunitaria, e perfino quella del nostro popolo, dalle sue profondità alle sue altezze tutta è attraversata e segnata dal mistero di Cristo, Crocifisso ma Risorto il terzo giorno, che vive in eterno.

 

  1. La Tutta Santa Madre di Dio, Maria santissima, che tra pochi giorni venereremo col pellegrinaggio nazionale a Zarvanytsia, stenda il suo manto sopra di noi e chieda per noi al Suo Figlio i doni della consolazione e della guarigione delle ferite interiori. Ci aiuti a fare memoria della storia del popolo di questa Nazione, l’Ucraina, in cui non sono mancate pagine di sofferenza che l’hanno fortificata con una professione di fede più autentica e sincera. Voglio riaffidarvi in particolare quanto disse San Giovanni Paolo II nella sua visita del 2001: “Quali testimonianze di santità si sono susseguite in questa vostra terra dal giorno del suo battesimo! Si stagliano agli inizi i martiri di Kyiv, i principi Boris e Hlib, da voi definiti “portatori di passione”, che accettarono il martirio dalle mani del fratello senza prendere le armi contro di lui. Sono essi che hanno disegnato il volto spirituale della Chiesa di Kyiv, dove il martirio in nome dell’amore fraterno, in nome dell’unità dei cristiani, si è rivelato un autentico carisma universale.” E citando il poeta ucraino Taras Shevchenko, vi riaffidava un sogno per il futuro, quello della fioritura di un nuovo autentico umanesimo, che nella preghiera di oggi, vogliamo tornare a fare nostro “i nemici più non saranno, ma ci sarà il figlio, ci sarà la madre, ci sarà la gente sulla terra!”. Amen
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