Omelia del Nunzio Apostolico S.E. Mons. Claudio Gugerotti durante la Divina Liturgia per la Celebrazione dei 1030 anni del Battesimo della Rus di Kyiv
Kyiv, Cattedrale della Risurrezione, 14 agosto 2018
Eccellenza Reverendissima, caro fratello vescovo Yosyf,
grazie per questo invito a pregare con voi ed a celebrare questo avvenimento così solenne. Per me è un grande onore essere in mezzo a voi per portarvi l’abbraccio affettuoso del Papa Francesco. In questo momento Egli è vicino e si congratula con voi per questo grande anniversario.
Naturalmente siamo tutti spiritualmente uniti con Sua Beatitudine Sviatoslav che non può essere presente in questo momento perché compie la Sua visita pastorale negli Stati Uniti.
È bello che dopo tante celebrazioni pubbliche che sono state fatte in Ucraina per festeggiare questo avvenimento, noi ci troviamo oggi in chiesa per celebrare l’Eucaristia. Perché al di là dei discorsi di circostanza che si fanno in questi avvenimenti è l’Eucaristia il modo che ci è dato per ringraziare Dio. E grazie a Dio che ha dato anzitutto il Suo Figlio Gesù che nell’Eucaristia è particolarmente presente nella Sua parola, nel Suo Corpo e Sangue.
Celebriamo oggi l’anniversario di un atto che, non dobbiamo mai dimenticarlo, è anzitutto un atto sacramentale. Naturalmente ogni gesto ha un’infinità di significati, di carattere storico, politico, culturale. Ma il battesimo resta prima di tutto un atto di fede. Cerchiamo dunque di liberarci dallo schema retorico che tendiamo a costruire sugli avvenimenti che coinvolgono tutto il popolo per tornare al centro del mistero che celebriamo. Esso è rappresentato dal segno con cui viene celebrato il battesimo: la persona si immerge nell’acqua e ne esce. E voi sapete bene cosa questo significhi: che la persona muore come il Cristo è morto e risorge come il Cristo è risorto. È successo ad ognuno di noi ed è successo al vostro popolo. Questo atto, se ci pensiamo bene, è un atto che cambia radicalmente la nostra esistenza ed il nostro modo di pensare.
Noi non siamo entrati qui come in un teatro per vedere una commedia. Siamo entrati di fronte alla presenza di Dio per proclamare che Gesù Cristo è l’unico Signore della storia e che noi siamo morti e risorti in lui e con lui. Per noi sembra una cosa scontata. Ma non lo era per coloro che assistevano in passato a questa celebrazione, come abbiamo sentito nella prima lettura dalla Prima lettera di S. Paolo ai Corinzi, questo mistero di Gesù faceva considerare i cristiani come folli, folli di fronte alla saggezza dei greci e stolti di fronte alla religiosità degli ebrei. Ma per noi che crediamo è il segno massimo della sapienza di Dio. C’è dunque una rottura netta tra i calcoli degli uomini e l’atto del battesimo. Lasciamo stare le ragioni politiche che possono avere influenzato questa scelta. Ma l’atto promosso dal principe Volodymyr è un atto essenzialmente religioso. Questa differenza tra la profonda radicalità che la rinuncia al peccato comporta e la creazione di un mondo nuovo costruito su regole e principi totalmente diversi, rimane lo scopo di ogni popolo credente, perché il battesimo non sia soltanto un ricordo nostalgico, ma l’impegno quotidiano a morire alla logica del mondo per rinascere alla logica di un Dio che ci ha tanto amato da mandare Suo Figlio in mezzo a noi a morire sul patibolo vergognoso della croce.
Tra il potere del mondo e il potere del Cristo esiste sempre profonda differenza. E il confronto di Gesù con Pilato che abbiamo sentito nel vangelo ne è la più grande testimonianza. Se Gesù avesse voluto essere un uomo gradito al potere politico non si sarebbe comportato così e non sarebbe morto. E invece la sua condanna a morte sembra quasi Cristo l’abbia cercata in questo incontro con Pilato. Perché egli colpisce con durezza tutti i poteri umani che vogliono mettersi al posto di Dio.
D’altra parte, il battesimo della Rus di Kyiv, come tutti gli esempi di battesimi di popolo, comporta una profondissima rivoluzione interiore. Noi oggi non ci ne rendiamo conto. Pensate quale era il potere che si attribuiva agli idoli prima del battesimo. Sapete cosa significa dire a questi idoli: non conti più niente, non credo più che tu mi proteggi? Pensate a quanta resistenza psicologica dalla povera gente che certamente si aspettava come conseguenza la maledizione degli idoli.
Il rito del battesimo ce lo ricorda: noi ci rivolgiamo verso l’Occidente e rinunciamo a Satana e ai suoi idoli. Poi ci volgiamo ad Oriente e proclamiamo la nostra fede in Cristo Gesù. Il battesimo di un popolo non è mai una azione normale e progressiva: è un atto di straordinario coraggio e di rottura con il proprio passato. Per questo lo riconosciamo come l’atto costitutivo di un nuovo popolo. Per questo noi collochiamo nel battesimo di un popolo l’inizio di una sua nuova vita, di una nuova cultura perché l’evangelizzazione corrisponde generalmente a una grande fioritura culturale del popolo.
Dalla conversione di un popolo nasce quella che gli antichi chiamavano l’illuminazione. Ancora oggi noi chiamiamo il battesimo illuminazione. E chiamiamo illuminatori coloro che hanno portato al battesimo. Per cui oggi un popolo che ha ricevuto il battesimo non può più separarsi da esso. Come ha detto un grande storico armeno antico: chiedermi di rinunciare al cristianesimo significa che tu mi chiedi di rinunciare alla mia pelle, anzi, di separare la mia pelle dal suo colore.
L’avevano capito molto bene gli atei che hanno tentato di cancellare la religione da questa terra. Cancellare la fede dal cuore di un popolo significa rimandarlo indietro al mondo pagano. Ma in particolare voi, cari fratelli greco-cattolici, avete resistito al tentativo di riportare il vostro popolo al paganesimo nel momento in il cui potere sovietico ha tentato di eliminarvi. E noi vi ringraziamo per questo e la Chiesa Universale si inchina di fronte a questo gesto, di fronte a queste persone che hanno dato la vita perché l’acqua del battesimo non diventasse una farsa. Essi dal cielo ci proteggono, ma sono anche molto esigenti con noi. Se loro hanno pagato con la vita, che cosa si chiede oggi a noi quando celebriamo il battesimo di Volodymyr?
Pensiamo che il nostro compito sia meno gravoso e meno difficile di quello dei nostri martiri? Pensiamo di poterci vendere ai potenti di questo mondo perché tanto non ci disturbano più? Pensiamo di smentire il coraggio di Gesù davanti a Pilato? Siamo pronti a inchinarci a tutti i Pilati di questo mondo, basta che abbiano un po’ di denaro nelle loro mani? E invece di baciare la Santa Croce che è il segno della nostra fede noi siamo forse spesso tentati di baciare le mani di quelli che chiamiamo benefattori. No, cari fratelli e sorelle, non si passa da una schiavitù all’altra. Quello che ci è chiesto con il battesimo è di rompere con la potenza del mondo e di far comprendere a tutti che il nostro orizzonte non è su questa terra ma è il regno dei cieli. Se siamo usciti dalle acque, morti al mondo per risorgere a Cristo, questo impegno continua. E allora la nostra domanda, quella che ci poniamo, è: io come persona, e noi come popolo, siamo stati fedeli alla conversione o siamo tornati all’idolatria?
Il Vangelo che è la nostra carta costituzionale è l’oggetto che più frequentemente prendiamo in mano nella nostra vita per poter leggere la Parola di Dio o è diventato soltanto una serie di citazioni che ricordiamo dalle nostre nonne? E quando ci vedono per le strade, riconoscono che siamo diversi, che c’è qualcosa che ci contraddistingue o siamo tornati massa? Questo è l’impegno di chi ricorda il proprio battesimo. Questo è il ricordo impegnativo di chi celebra il proprio passato in Cristo.
Cari fratelli e sorelle, siamo pronti ogni giorno a rivolgerci all’Oriente per accogliere il volto di Gesù, il Suo stile e il Suo messaggio? O siamo sempre con un piede verso oriente e un piede verso occidente, in mezzo tra gli idoli e Gesù? Questo chiede una conversione quotidiana e questa conversione si chiede nella preghiera.
Non è stata la bellezza della vostra Liturgia a convincere gli inviati di Volodymyr che si trovarono a Costantinopoli a scegliere la forma bizantina del cristianesimo secondo la cronaca di Nestore: “ci sembrava di essere in cielo”? Che la nostra Liturgia sia il nostro cielo. Che la nostra vita convertita sia il nostro cielo. Che il nostro amore reciproco sia la nostra strada che ci conduce al cielo. Questo è il nostro augurio e l’augurio che la Chiesa Cattolica vi rivolge nel mentre si congratula con voi per questo avvenimento straordinario che celebrate e vi rivolge questo grande augurio: siate degni di ciò che siete. Siate un vangelo vivente, perché chiunque vi incontra, chiunque incontra il popolo ucraino, possa dire: “Questi sono di Cristo”. Tutto il resto vi sarà dato in più dalla grazia di Dio.
Grazie a Dio, e grazie a voi, grazie ai vostri antenati e grazie ai vostri bambini. Grazie a quello che siete stati e grazie a quello che riuscirete ad essere. Amen.